12.03.2012

Lettera aperta ai lavoratori ILVA di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica

Prima di entrare nel merito della missiva intendiamo esprimere la nostra, piena, solidarietà al lavoratore selvaggiamente malmenato dalla polizia nei giorni scorsi, a Genova, nel corso di una, legittima, protesta operaia.
Ma fatta questa, doverosa, comunicazione non possiamo esimerci dal ribadire tutto il nostro disappunto nei confronti delle manifestazioni di giubilo che abbiamo registrato nel periodo immediatamente successivo la comunicazione della presentazione – da parte governativa – del, cosiddetto, “decreto salva occupazione” che – per quanto riguarda il siderurgico di Taranto – dispone il dissequestro degli impianti altamente tossici con, conseguente, facoltà d’uso restituita ai Riva che – unitamente all’illustre (e latitante) rampollo – potranno continuare ad arricchirsi sulla pelle dei cittadini e dei lavoratori del capoluogo ionico.
Pur comprendendo le ragioni umane che le hanno prodotte invitiamo caldamente i colleghi della “filiera” ILVA a riflettere affinché non assumano atteggiamenti e posizioni strumentali alla proprietà ovvero che non si trasformino, oggettivamente, in “truppe cammellate” al soldo dei Riva e dei loro sodali che (anche in ambito sindacale) hanno già ammorbato l’aria di Taranto promuovendo manifestazioni e blocchi di piazza “telecomandati” i quali - a fronte di bibite fresche e panini imbottiti distribuite agli “scioperanti” dalla direzione aziendale - avevano il solo scopo di penalizzare la città ed i suoi abitanti senza incidere minimamente sulla proprietà ovvero sulla produzione. Che - in tutti questi mesi - è continuata a pieno regime nonostante il sequestro procurando ulteriori ed ingenti profitti per la proprietà e dolorosissimi lutti tra i lavoratori.

Come autorevolmente pubblicato nei giorni scorsi dalle pagine di un periodico nazionale “lo studio Sentieri, condotto dall’Istituto superiore di sanità, ha chiarito una volta per tutte lo stato di compromissione della salute della popolazione di Taranto. La mortalità nell’area dell’Ilva è superiore dell’11 per cento rispetto all’aspettativa di morte di tutti i cittadini pugliesi. E sono soprattutto le donne a soffrire: 75 per cento in più di tumori al fegato rispetto al resto della popolazione, 43 in più di linfomi non Hodgkin, 80 dei tumori all’utero, 48 di quelli alla mammella, 100 per cento allo stomaco e 48 ai polmoni. Nella popolazione maschile non va meglio, con un aumento del 30 per cento di tutte le neoplasie e un picco del 100 in più per il mesotelioma pleurico, quel terribile tumore incurabile che avvolge come in una rigida ragnatela la superficie dei polmoni e nel giro di pochi anni soffoca il malato, togliendogli il respiro tra atroci dolori che solo la morfina riesce a lenire. Lo studio Sentieri stabilisce anche un altro fatto: “Lo stabilimento siderurgico, in particolare gli impianti altoforno, cokeria e agglomerazione, è il maggior emettitore nell’area per oltre il 99 per cento del totale ed è quindi il potenziale responsabile degli effetti sanitari correlati al benzopirene”. Dunque la colpa è da addebitarsi alla direzione aziendale dell’Ilva. E’ appena il caso di rimarcare che, dietro ai dati che fanno rabbrividire, ci sono persone in carne e ossa. Drammi umani, ricoveri in ospedale, chemioterapia, famiglie cancellate, orfani. L’ombra della morte che cala su un’intera comunità. Se non si capisce tutto questo, o si fa finta di non voler capire, allora non si è in grado di comprendere il valore della dignità umana coniugato al diritto al lavoro ed alla salute.
Né possiamo ignorare quanto affermato in un comunicato stampa dal vicepresidente di Medicina Democratica che, tra le altre cose, recita: (le prescrizioni della magistratura) (…)” non possono e non devono essere messe in discussione attraverso la promulgazione di uno strumentale decreto governativo, che trova il plauso peloso da parte di chi per decenni ha girato la testa dall’altra parte (sindacati, enti locali, regione, Asl ed enti pubblici preposti ai controlli e alla tutela della salute, della sicurezza, dell’igiene del lavoro e della protezione dell’ambiente)”.
Come Unione Sindacale Italiana vogliamo ribadire, ancora una volta, che le condizioni di lavoro, la vita e la salute dei lavoratori e dei loro familiari e concittadini non sono merci interscambiabili a seconda della convenienza oggettiva e vanno sempre e comunque difese e tutelate. Pertanto ogni altro interesse economico, sociale, politico o di altra natura che confligge con esse deve cedere il passo e questo non già per un rigoroso rispetto della Carta fondamentale (artt. 32 e 41 della Costituzione) alla quale non crediamo perché consapevoli che – all’occorrenza e per opportunità politica, finanziaria ed economica – può essere sempre emendata o ignorata (come nel caso in oggetto) ma per un elementare principio etico: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.
E' la storia che ci ha insegnato e fatto toccare con mano come i padroni, sulla sicurezza, hanno sempre cercato di fare profitto e tutt'ora, se riescono e come i fatti di Taranto confermano, continuano su questa strada. E' vero per la Cementir, per l'Eni, come per l'Ilva. Però se facciamo un passo indietro e torniamo nei momenti più caldi delle lotte nei posti di lavoro, partendo dagli albori del movimento operaio, attraversando gli anni sessanta e tutto il decennio dei settanta del secolo scorso, la lotta per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro è stata una delle più importanti sulle quali si ponevano spesso le basi per lotte inerenti interessi di carattere politico generale. Lotte che hanno avuto la capacità di fermare stabilimenti, di creare auto-organizzazione solidale autonoma e mettere in ginocchio i padroni arrivando a ottenere vittorie e diritti, in un orizzonte di trasformazione “inclusivo” del sistema produttivo ovvero: che abbatteva ogni conflitto tra lavoratori di tutte le aree geografiche del Paese e … “resto della popolazione”.
Non lasciatevi, dunque, strumentalizzare da coloro i quali sfruttano la vostra paura di perdere il posto di lavoro e vi ricattano con lo spauracchio dei licenziamenti e della disoccupazione e unitevi, idealmente, ai lavoratori tarantini nella loro battaglia per il diritto ad un lavoro sicuro senza essere costretti a mettere a repentaglio la loro salute e quella dei loro congiunti.
Perché è di questo che si parla e, oggi più che mai a Taranto e non solo, il ricatto “lavoro in cambio di profitto e impunità” è ancora sul tavolo. Spetta a tutti noi e alla nostra intelligenza solidale rovesciarlo!
UNIONE SINDACALE ITALIANA - AIT

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